giovedì 25 giugno 2020

THE STEWARTS – part One - "Al Stewart"


Un estate a Palermo, era il 1978. Invece delle solite due settimane ci passai due mesi, Luglio ed Agosto, da mia zia Silvia ed ancora abitava in Via Zandonai.
Era  una stagione dove ne ammazzavano quasi uno al giorno. Imparai termino come “carnezziere” invece di macellaio ed altri ancora.
Venni a sapere in seguito che mia zia aveva detto ai miei genitori, mio padre era il suo fratello minore, di mandarmi li perché ero troppo magro e che mi avrebbero ingrassato loro.
Non tornai però a Genova carico di calorie, ma di musicassette BASF registrate in radio da mio cugino.
Tra cui un artista che mi ha accompagnato fin da allora, Al Stewart.

Chi, Rod Stewart? No, ma chi è il fratello di Rod Stewart? Queste le domande ironiche e le battute che correvano allora.
La BASF da 90 minuti aveva sul primo lato “Time Passages”, uscito quasi un anno prima. Del quale non conoscevo manco un pezzo.
Sul retro avevo registrato “Year Of The Cat”, il disco dell’omonimo pezzo che lo fece conoscere un po’ dappertutto ed anche in Italia. Vinile uscito due anni prima nel 1976.
Come al solito musiche e testi. Stavolta forse non impegnati ma molto evocativi, quasi dei film.
Per inquadrarlo, due cenni biografici.
Il suo vero  nome, completo, è  Alastair Ian Stewart ed è nato a Glasgow, Scotland nel finire del 1945.
Durante gli anni sessanta viveva a Bournemouth e suonava in una band locale, “The Trappers”  e già scriveva canzoni originali. Mentre frequentava il Wycliffe College nel Gloucestershire, acquistò la sua prima chitarra da Andy Summers, che più tardi avrebbe raggiunto il successo e la fama come chitarrista dei Police.
Frequentando l’ambiente folk inglese, abitando in un appartamento con Paul Simon, divideva le bollette con gente come Bert Jansch, Cat Stevens, and Roy Harper.
Quest’ultimo famoso grande cantautore inglese, apprezzato anche dai Led Zeppelin che in “Led Zeppelin III” inserirono un pezzo chiamato  “ Hats Off to (Roy) Harper”.  Jimmy Page diceva che i Zep apprezzavano la fedeltà e la coerenza di Harper ai suoi principi, senza cedere alle pressioni delle case discografiche.
Harper è anche la voce solista di “Have A Cigar” , in “Wish You Were Here” dei Pink Floyd, 1975.
Nel 1975 Stewart stringe la prima collaborazione con Alan Parsons (produttore, non dimentichiamolo, di “The Dark Side Of The Moon”, dei  Floyd, nel 1973) e nel giro di due anni si fa produrre forse i suoi migliori album, quelli di cui parleremo. Ed arriva il successo mondiale.
Year Of The Cat
Il primo “film” di Al Stewart, così chiamerei i suoi pezzi,  "Year of the Cat" è una canzone che racconta di un incontro di un turista che sta vistando un mercato orientale, dove conosce una donna misteriosa, vestita di seta, che lo porta via per un’avventura. Che finisce il giorno dopo, quando lui, al risveglio, si accorge che il  bus turistico è ripartito senza di lui e ha perso il biglietto.
Ma sono le micro sequenze che descrive il pezzo che sono bellissime.
In un mattino simile ad un film di Bogart, lui passeggia tra la folla come un Peter Lorre che sta organizzando un crimine quando lei “esce dal sole con un vestito di seta che corre come un acquerello sotto la pioggia…
La donna non gli da tempo per le domande, mentre lo abbraccia stretto e lui  la segue fino a quando il suo senso dell’orientamento sparisce completamente…poi lo introduce in una porta segreta.
Sono in camera sua e lei ha uno sguardo affascinante, i suoi occhi brillano come la luna nel mare e entra in camera profumata di incenso e patchouli e poi vanno a letto insieme…

Al Stewart si apprezza per gradi.

Un pezzo come  “Year Of The Cat” o la magnifica “On The Border” ti fa accorgere di lui. Poi senti e risenti i pezzi e ti accorgi della grande qualità musicale… Poi apprezzi i testi, se sei incuriosito come me… Alla fine scopri i cosiddetti “pezzi minori” che invece sono delle perle, come nel caso dell’album “Time Passages” di cui parleremo dopo.

On The Border” è un pezzo, tra quelli più conosciuti se non il più conosciuto e contiene tutti i “parametri” “Alstewartiani”…
L’intro di piano, le svisate di chitarra classica…
È un brano dal ritmo sostenuto e con una musica molto accattivante, considerato tra i migliori dell'intera produzione di Al Stewart.

Poi "Midas Shadow". Altro frame, altra sequenza…
Un giocatore arriva in hotel, posa la borsa per terra e guarda gli alberi tropicali fuori dalla sua finestra. Poi pensa che se non rischia non otterrà mai nulla.
Ed allora decide di rischiare il tutto per tutto. Lancia i dadi ed allunga il volto per vedere i numeri usciti.
Ha sempre barato ma la fortuna che ha sempre funzionato cambia con le stagioni.
Si ritrova al check in dell’aeroporto, con la carta d’imbarco in mano, a farsi domande sul suo futuro…

"Flying Sorcery" è dedicata ad Amy Johnson, la prima aviatrice britannica
“You can touch the morning air against your wheels/Puoi toccare l'aria del mattino contro le tue ruote”
Come si fa a descrivere un decollo con poesia? Così….

Nel 1978 arriva il capolavoro definitivo o, se preferite, l’estensione di “Year Of The Cat”.

Time Passages
“Time Passages” è qualcosa di più. Non ho mai contato le volte che l’ho ascoltato.
Allora, nell’estate che ho citato prima, ascoltavo solo i pezzi più immediati, come “Valentina Way”, molto rock, “A Man For All Seasons”, “Almost Lucy”  e mi fermavo immediatamente dopo “The Palace of Versailles”.

Col  tempo, col passare degli ascolti… Pensate che ce li ho pure sul telefono, quando ascolto “Year Of The Cat” e “Time Passages”, vado ad ascoltare gli ultimi pezzi, che non consideravo mai…
Quindi ignorerò volutamente “Time Passages”, sebbene la “title track” sia un po’ la base per navigare nell’album, col suo narrare di passaggi nel tempo che poi verranno ripresi in una canzone che è pura storia, “Palace of Versailles”.

Solo “Timeless Skies”, “Song On The Radio” e “The End Of The day”, le ultime tracks.

“Timeless Skies” ha dalla sua un titolo fantastico. I critici dicono che lui abbia la capacità di “trovare” i titoli giusti per le sue canzoni. Verissimo. “Cieli senza tempo”.. Lui viaggia verso nord su una stradina di campagna ed alla fine arriva nel villaggio dove è creciuto. Sale in  alto sulla collina per vedere le case dall’alto, i tetti d’ardesia e vede che il villaggio si muove…
Ma lui e la sua ragazza sono nei campi, sotto cieli senza tempo  arcadiani.
Alla fine lui si lascia il villaggio alle spalle, nella notte.
Come in tante canzoni ritorna il tema. Arrivo, incontro con una persona, e poi alla fine la fuga…
Ma la chiusura è di nuovo poesia pura: “E in un altro villaggio in una terra straniera lontana/Il nuovo giorno scoppia aprendogli la mano/E il sole ha la luna nei suoi occhi/Mentre vaga nei cieli senza tempo
Certe volte la nostra lingua non rende bene: “And in another village in a far off foreign land/The new day breaks out opening up its hand/And the sun has the moon in his eyes/As he wanders the timeless skies”

Arrivo a “Song On The Radio”, forse il pezzo che più mi piace della sua discografia.

Un altro “Screenplay”, l’ennesimo.
Il protagonista sta guidando l’auto in una terra “desolata”, attraversando paesi dopo paesi, cambiando la stazione radio, pensando sempre  a lei.
Gli dice che raccoglieranno i giorni, mettendo via i bei momenti e che lei è nella sua mente come una canzone alla radio…
Si ricorda la prima volta che l’ha vista, da sola al buio, con un drink, con le candele accese intorno a lei, assorta nei suoi pensieri, con lo sguardo perso lontano, senza ascoltarlo

Chiudiamo con “The End Of The Day”.
Stavolta è lei che se ne va, delusa da un lui.

La sera quando il giorno arriva alla fine, lei lascia la casa dalle luci luminose/Si ferma e  guarda le torce che illuminano i cieli, immersa nel suo cappotto /Qualche volta pensa di conoscerlo bene,altre volte no
Sa che nulla dura e cerca di resistere.....
E resterà con lui fino al giorno in cui troverà/ Uno sconosciuto tra le sue braccia

Qualche volta penso che sia difficile spiegare il motivo per cui ci piaccia un pezzo.  La musica, il testo? Troppo banale…. Prima o poi le note finiscono…
Allora cosa?
Anche le parole ti portano da qualche parte ma poi le dimentichi, svaniscono, sono parole, appunto…

Rimane la sensazione, qualcosa che ha sfiorato la tua anima, che è entrata, e che credevi se ne  fosse andata fino a quando una radio, una sensazione che avevi accostato alla musica, improvvisamente, si ripropone, dopo tanti anni.

Questo è Al Stewart….


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